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Cosa stiamo aspettando?

Non è retorica. Non è provocazione. Vorremmo solamente capire cosa stiamo aspettando per avere un nuovo governo. Le strategie dei partiti sono giustificate – e naturali – se hanno durata ragionevole. E invece, sono passati quasi due mesi dalle elezioni politiche e ancora non abbiamo il nuovo esecutivo. Nel frattempo, Gentiloni continua a governare, con buona pace degli elettori.

 

La domanda che ci poniamo è se alla base di questa lunga attesa ci sia la volontà reale di fare gli interessi degli italiani trovando dei punti di sintesi tra i vari programmi elettorali o se, invece, lo scopo non sia quello di spartirsi le poltrone e raggiungere il potere senza rinunciare al gradimento della base.

Ci chiediamo a chi convenga prendere tempo. Qual è il fine ultimo – ammesso ce ne sia uno.

 

L’impressione è che i leader dei vari schieramenti stiano soltanto aspettando l’occasione (o l’evento imprevisto) per poter giustificare – creandosi un alibi che verrà ingigantito e battezzato come “forza maggiore” – un accordo politico con le forze avversarie che altrimenti, in una situazione di normale gerenza politica, sarebbe additato come deprecabile inciucio.

 

In un modo o nell’altro ci sarà un governo. Questo è chiaro. Che non si tornerà al voto – come alcuni continuano torvamente a minacciare – è cosa nota e già trattata (si veda precedente articolo "Non si tornerà alle urne").

Quello che non è ancora chiaro e non si capisce è cosa manca per far partire un esecutivo che governi questo Paese.

Nella situazione in cui siamo è indispensabile che qualcuno metta in moto un processo di cambiamento. È necessario che il Parlamento legiferi, che il Governo detti una linea politica chiara e che ci rappresenti all’estero con autorevolezza e credibilità.

 

Certo, a furia di veti, minacce, divisioni, false unioni, accordi disattesi, proposte non concretizzate, la situazione si è talmente aggrovigliata che risulta difficile trovare una via d’uscita.

 

Eppure, all’orizzonte, la proverbiale indecisione del Partito Democratico, la sua peculiarità di non avere una linea unica ma, piuttosto, essere formato da diverse anime che talvolta ci hanno resi spettatori di scelte contrastanti con la linea precedentemente espressa, potrebbe essere la soluzione a questa impasse. Quanto, eventualmente, questa decisione di prendere parte ad un esecutivo a 5 Stelle inciderà sull’elettorato PD e sul suo futuro, ce lo diranno le prossime elezioni. Tra cinque anni.

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