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Se Confucio vedesse...

Una lettrice mi ha inviato via mail un suo “sfogo” che riguarda lei, la sua generazione e il momento storico che stiamo vivendo. Ho deciso di pubblicarlo e, su richiesta della stessa, manterrò l’anonimato sull’autrice. È una pagina che fa riflettere non poco e che fotografa lo stato d’animo di tanti lavoratori e disoccupati di oggi. Si può condividere o meno, ma vale la pena leggerlo. Pertanto, buona lettura e... a voi i commenti.

 

Confucio disse “ama il tuo lavoro e non lavorerai mai un giorno in vita tua”. Oggi potremmo tradurlo più realisticamente in “trova un lavoro e non patirai la fame un solo giorno in vita tua, forse”. Potremmo anche chiuderla qui! Perché, lungo lo stivale, già ad una qualunque fermata della metro ci si può rendere conto di quanto la seconda affermazione sia più vera della prima.

Perché se da una parte è vero che passiamo al lavoro, quel lavoro tanto agognato e sudato, più tempo che con le nostre famiglie o in giro a fare ciò che più ci piace, dall’altra possiamo veramente dire di conoscere almeno due persone che svolgono il lavoro che auspicavano da piccoli? Quanti visi allegri incontriamo andando in ufficio? Quanti sorridono in ascensore? Forse le risposte non sono da ricercare nel brutto carattere delle persone – con le dovute eccezioni!

 

E quindi la domanda è: in base a cosa scegliamo un lavoro? Forse oggi la risposta è solo una: il primo che trovo e che mi fa vivere o, meglio, sopravvivere. Va da sé che non è per nulla una scelta… Allora arrivano prepotenti le riflessioni che ognuno di noi, sano di mente, fa sul perché ogni giorno si alza dal letto e, dimenandosi tra la folla, raggiunge la scrivania, la fabbrica, il cantiere, il bancone per poi, dopo otto ore, rifare il percorso all’indietro, sonnecchiando in metropolitana, stanziando nel traffico, facendo attenzione in autobus per raggiungere un monolocale in periferia (chiaramente in affitto, perché il mutuo la banca non te l’ha concesso!). Come siamo arrivati a tutto questo? Noi siamo la generazione ’80, derubata di un futuro che prometteva grandi cose, di uno sviluppo senza fine e la contestuale realizzazione di tutti i nostri sogni.

 

Noi siamo i figli di una generazione che ha vissuto in pieno l’inarrestabile (si fa per dire!) ricostruzione di un paese in cui le possibilità erano infinite, che ha dato ai propri figli – perché allora i figli si facevano eccome! –  il meglio che poteva offrire con la speranza, anzi no, con la certezza che avrebbero vissuto meglio dei genitori! Figli dei contadini che hanno fatto la guerra e patito la fame, che hanno raccolto le chewingum e le sigarette che gli americani lanciavano dai carri armati, che hanno ricostruito il paese, che hanno fatto studiare i figli … ecco! Siamo i figli dell’italico sogno americano… fallito!

 

Noi. La generazione anni ’80, cresciuta all’ombra del mito di quelli che “ce l’hanno fatta”, investendo senza sosta nel futuro e facenti parte dell’esercito dei super-formati, super-competenti, super-skillati, iper-specialisti, iper-multitasking, iper-ottima-gestione-dello-stress, iper-capacità-di-raggiungimento-degli-obiettivi-assegnati… e quindi?

 

Caro Confucio… beato chi svolge un lavoro che gli piace! Beato chi svolge il lavoro per cui ha studiato! Beato chi ha un lavoro! Con buona pace del siate-affamati-siate-folli!

 

Sono anni che si parla di riforme del mercato del lavoro, di svecchiamento, di utilizzo razionale delle competenze, di fuga e rientro dei cervelli, ma la verità è che non c’è mai una soluzione concreta (che per carità non arriva né dal basso né dall’alto, né da destra né da sinistra… dal centro poi…) e così mentre i grandi siedono nei salotti televisivi ad additare il nemico, l’Europa, il debito, i mercati, i rom, gli extracomunitari, i governi precedenti, i salviniani, i 5stelle…, questo è un Paese in cui giovani donne e uomini hanno studiato, conseguito un dottorato di ricerca, fatto un master, enne corsi di specializzazione, e poi ancora un altro master e poi uno stage e poi un po' di praticantato (perché si sa… ti devi fare le ossa!!!) e poi niente… se vivi in una grande città stai con i tuoi. Se, invece, vivi in un piccolo centro, ti sposti dal paesello alla metropoli ovviamente a spese dei genitori. E, se non ci sono le disponibilità economiche, fai il barista per potere pagare l’esorbitante affitto di un posto letto il cui contratto l’ha firmato tuo padre, che ha fatto da garante. Perché parliamoci chiaro… tu che garanzie puoi dare?

 

Così, sempre se appartieni alla schiera dei miracolati, ti rechi sul posto di lavoro e assisti a una schiera di gente che entra con il capo chino e lo sguardo mesto, priva di motivazione, che non svolge con piacere il proprio lavoro, in preda ad una frustrazione immane da riversare su tutto l’universo circostante e così via come un virus letale… Se sei fortunato!

Altrimenti, a soli 35 anni, puoi godere della magnifica opportunità di fare uno stage di sei mesi non retribuito che ti forgerà e potrà darti la possibilità di potere rispondere il sabato sera davanti a una birra gelata, alla domanda: E tu che fai nella vita?

 

Potrei continuare per ore a parlare di quanto la mia generazione sia il risultato degli errori i quella precedente, e mentre rifletto su tutto questo, suonano alla porta, è il cibo cinese che ho ordinato a domicilio. Finisco questo pezzo mangiando degli unti involtini primavera e pensando al rider, che avrà avuto più di 50 anni. Un uomo distinto, un po' impacciato ma molto distinto, con un pantalone color cachi e mocassini marroni. Era un uomo per bene di circa 50 anni che aspettava 1 euro di mancia...

 

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