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Vince l'astensionismo

C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino, e consiste nel togliergli la voglia di votare” ha detto Robert Sabatier e, mai come in questo caso, quella affermazione sembra più calzante.

 

Dopo ogni tornata elettorale siamo stati abituati a conferenze stampa nelle quali tutti gli schieramenti e i partiti vantano una qualche vittoria. Le ultime elezioni amministrative hanno certamente segnato una sconfitta del centrodestra, ammessa peraltro dagli stessi leader di quell’area – che, però, non hanno accettato si parlasse di debacle. Quest’ultima, a dirla tutta, sembra più appropriata alla performance elettorale del Movimento 5 Stelle, che perde consensi praticamente ovunque.

Al di là dei vinti e dei vincitori – tra questi ultimi, certamente, il Partito Democratico ha ottenuto un risultato importante e soddisfacente – il dato che preme analizzare in questa sede è quello dell’astensionismo record di queste elezioni amministrative.

 

Le elezioni comunali dovrebbero essere tra le più partecipate, per una serie di motivi: anzitutto il cittadino tendenzialmente conosce (direttamente o indirettamente) i candidati; in secondo luogo può esprimere una preferenza sulla scheda elettorale; inoltre sente che i problemi che lo riguardano possono essere più facilmente risolvibili dalle Istituzioni a lui più vicine – Sindaco e Consiglieri comunali. Eppure, nelle votazioni appena trascorse, al primo turno poco più del 50% degli aventi diritto ha deciso di esprimere il proprio voto. Percentuale che arriva ad una cifra che oscilla tra il 35% e 42% ai ballottaggi. Disastroso.

 

Ma perché la gente non vota? Analisti, sociologi e opinionisti si sono espressi in tal senso. Eppure, nonostante se ne sia parlato, sembra comunque che il problema sia di quelli minori. Non è così: l’astensionismo è una sconfitta per tutti. Classe dirigente e cittadini.

Se per i primi cambia poco, perché – giustamente – l’assetto democratico prevede che vince chi prende un voto in più e, di conseguenza, in ogni caso ci saranno degli eletti chiamati a rappresentare le Istituzioni, la prospettiva cambia per i cittadini: ed è più preoccupante. Questi ultimi, infatti, saranno rappresentati da qualcuno che non hanno voluto scegliere, al quale non hanno neppure preferito un avversario o un antagonista. Semplicemente si sono affidati alla scelta degli altri.

 

Facciamo un esempio. Nella Capitale gli aventi diritto al voto sono circa 2.300.000 cittadini. Al ballottaggio hanno votato 920.000 elettori (cioè il 40% circa). Tra i votanti, il 60% ha espresso il voto per Gualtieri che – naturalmente – è stato eletto Sindaco con una vittoria netta. Quel 60% si traduce in 565.000 preferenze che rappresenta circa il 25% del totale degli aventi diritto. In altre parole due elettori e mezzo su dieci hanno scelto chi amministrerà la Capitale per i prossimi cinque anni. Detto diversamente, la maggioranza dei cittadini sarà rappresentata da un Sindaco scelto da una esigua minoranza. Ma la colpa è davvero da ascrivere a quella maggioranza che non si è recata alle urne?

 

Vale la pena tornare alla domanda da cui siamo partiti: perché molti cittadini non hanno votato? Può trattarsi di semplice disaffezione?

Certamente le ragioni che spingono il singolo individuo a non esprimere la propria scelta sono diverse.

 

Anzitutto occorre menzionare quanti, per motivi di studio o di lavoro, vivono fuori dalla propria città e – di conseguenza – non possono rientrare ad ogni tornata elettorale, sia per motivi logistici, sia per aggravio di costi. Per questi cittadini lo Stato, forse, dovrebbe prevedere mezzi alternativi di voto a distanza: del resto, se consentiamo l’assurdo voto degli italiani all’estero, perché non permettere pragmaticamente ad uno studente (o un lavoratore) fuori sede di poter scegliere il Sindaco del suo Comune di residenza?

 

Secondo alcuni analisti, in questo momento pandemia, alcuni tra gli aventi diritto hanno preferito non recarsi alle urne per motivi di sicurezza, per non esporsi a rischi di contagio. Se davvero qualcuno ha fatto una simile scelta, sarà certamente una sparuta parte del corpo elettorale, per certi versi ininfluente. Tuttavia è una considerazione che ha un qualche fondamento nel Paese – l’Italia – che vanta un altissimo tasso di anzianità. Anche se, a dirla tutta, le persone più anziane hanno una considerazione del voto spesso molto più alta di quella di tanti giovani!

 

Infine, e certamente questa categoria contiene la maggior parte degli astenuti, vanno annoverati i delusi della politica. Essi sono la vera maggioranza del Paese. Ma si tratta di una maggioranza fluida, parte della quale ha creduto a questo leader o a quel rottamatore, a questo capitano o quel movimento. Oggi, deluso e arrabbiato, vede nell’astensione l’unica vera espressione del suo dissenso. Eppure, in questo modo, permette a due cittadini su dieci di decidere chi governerà il suo Comune o la sua Regione.

 

L’astensione dal voto è diventata una vera scuola di pensiero. Sembra che molti si trovino in sintonia con quanto affermato da George Carlin, il quale asseriva che “il voto è un esercizio insignificante. Non perderò il mio tempo andando a votare. Questi partiti, questi politici ci vengono presentati in modo tale da farci sentire che abbiamo libertà di scelta, ma non ne abbiamo”. Una presa di coscienza o un’errata interpretazione della democrazia? Certamente qualche riflessione nei Palazzi delle Istituzioni dovranno pur farla. Ma anche tra i cittadini, tra gli elettori, è giusto aprire una riflessione e riflettere su quanto peso possa avere ogni singolo nostro voto. Lasciar perdere è comunque una scelta al ribasso, tanto qualcuno dovrà pur rappresentarci, tanto vale provare a scegliere quello che ci piace di più – o, tutt’al più, ci dispiace meno.

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