· 

Tempo di Politica (con la maiuscola)

C’è stato un tempo della politica dei partiti ed uno della politica dei leader.

C’è stato un tempo in cui il partito era formato dalla base, e da questa emergevano i dirigenti, approvati nelle assemblee e nei congressi, designati tra i più validi o i più votati – o con entrambe le caratteristiche.

C’è stato un tempo – ahimè il nostro tempo – in cui il partito non esiste o, meglio, si identifica col leader e la classe dirigente viene scelta dallo stesso leader che, il più delle volte, ha messo il suo nome nel simbolo (sic!) e sceglie a suo insindacabile giudizio chi siederà alla Camera e chi in Senato.

 

C’è stato un tempo in cui i parlamentari frequentavano il proprio territorio, il collegio o la circoscrizione. Un tempo in cui partecipavano alle feste dei paesi, alle sagre popolari, alle iniziative dei sindaci e delle associazioni – un tempo in cui, queste attività, servivano per instaurare un rapporto tra il rappresentante e i rappresentati, in cui una sezione di partito era più frequentata di un circolo sportivo.

C’è un tempo – quello attuale – in cui i segretari o presidenti di partito girano l’Italia e presenziano quanti più eventi possibili, da rilanciare sui canali sociale e nei telegiornali, per raccogliere voti di opinione e alimentare le percentuali del proprio partito personale.

 

In un contesto così, fortemente bipolare (destra o sinistra, what else?), ecco che quasi la metà degli italiani ha deciso, ormai da anni, di non pronunciarsi nella cabina elettorale.

Italiani che non si ritrovano in un partito patronale (di destra o di sinistra), né si identificano in un leader capace di rappresentarli in tutto e per tutto, né tantomeno in accozzaglie e coalizioni tenute insieme dalla sola voglia di potere, senza nessuna sintonia sui temi più importanti.

Italiani che, avulsi da qualunque disputa social (ma chi ce l’ha il tempo di impelagarsi in insulti online, al solo scopo di sfogare le proprie frustrazioni?!), non sono interessati a prendere posizioni radicali su un tema, consapevoli che quel tema – come spesso accade per le questioni sociali più importanti – non può essere risolto con un sì o no, col bianco o nero, col giusto o sbagliato, ma necessita di un ragionamento complesso, competente, misurato, che sia la sintesi di tutti i valori e i diritti in campo.

 

In questa fase politica italiana, ben venga chi ha ancora voglia di costruire un’alternativa al sistema patronal-partitico, chi si discosta dalla logica del segretario-padrone e dell’elettore infatuato del leader.

 

Ben venga chi, come l’on. Luigi Marattin, ha aperto una riflessione – non raccolta nel suo partito – sulla possibilità di trovare una nuova concezione dei partiti e della classe dirigente, non più dipendente simbioticamente dal segretario col nome sul simbolo.

Una prospettiva che sembra aprire a quanti hanno ancora voglia di misurarsi sul territorio, di intendere la politica come confronto e non semplicemente come una tifoseria che deve avallare a prescindere il comportamento dei giocatori (fino ad accettare un goal in fuorigioco, se va a vantaggio della propria squadra, in barba alle regole e ai principi di correttezza!).

 

Una prospettiva liberal-democratica è possibile ancora in questo Paese, senz’altro per quella parte di delusi da una rivoluzione liberale mai realmente attuata e, magari, per tutti quei cittadini esclusi dai partiti perché non tollerati dal leader-padrone di turno.

Scrivi commento

Commenti: 0