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Preferire è meglio che votare (i nominati)

Io i nominati li conosco, sono quelli che ho nominato in Parlamento – così Matteo Renzi, ieri durante un incontro a Roma, nella Sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano.

Basterebbe questa frase per capire quanto è diventata improcrastinabile la battaglia sulla reintroduzione delle preferenze di lista e l’annullamento dei listini bloccati.

L’idea è stata espressa chiaramente dal segretario di Italia Viva, ma, si sa, è un’idea comune a quasi tutti i leader dei partiti – che, grazie a questo sistema elettorale, decidono chi mandare in Parlamento e chi no, con un potere smisurato che riduce i candidati di Camera e Senato a meri yes men/women del leader di turno.

 

Andiamo con ordine. Da ormai troppi anni, le leggi elettorali che si sono succedute hanno mantenuto un’altissima quota – quando non una totalità – di liste bloccate di nominati/eletti.

La ratio di questo meccanismo è stata individuata nell’esigenza di scegliere la miglior classe dirigente in circolazione, selezionata direttamente dalle segreterie partitiche – con un sistema che tramuta il voto in una mera ratificazione, da parte degli elettori, dei rappresentanti calati dall’alto delle alte dirigenze.

Ma questo ragionamento, ovviamente, presenta alcune lacune, soprattutto alla luce delle ultime legislature, frutto di questo sistema di selezione che, fatti alla mano, non ha prodotto certamente gli obiettivi prefissati regalandoci una classe politica mediocre e improvvisata.

 

Anzitutto, i rappresentanti politici di queste ultime legislature hanno dimostrato ampiamente di essere la miglior espressione di incompetenza ed inefficienza politica. Non ne facciamo un discorso generalizzato, perché esistono ancora politici preparati e di rilievo che, però, sembrano essere sempre più emarginati dai ruffiani adulatori del leader di turno, i quali, grazie proprio alla costante attività di piaggeria, raggiungono i primi posti in quelle liste bloccate sottoposte al corpo elettorale.

 

In secondo luogo, i cittadini non si sentono più rappresentati. I segretari di partito evidentemente non riescono a trovare candidati tanto efficienti da spingere gli aventi diritto verso le urne: il tasso di astensione delle ultime elezioni ne è la prova.

La gente non conosce i candidati, non li vede sul territorio se non qualche settimana prima del voto, non ne conosce la storia. Gli stessi candidati, di contro, non conoscono costumi e radici del collegio o circoscrizione in cui sono proposti: inevitabile la disaffezione della comunità verso soggetti avulsi da qualunque legame.

La gavetta, quale forma di una carriera politica che parte dalle amministrazioni locali e territoriali per arrivare alle istituzioni centrali, è completamente dimenticata: come si può fare il Ministro senza aver mai ricoperto la carica di assessore provinciale o consigliere comunale?

 

Infine, la mancanza dei rappresentanti politici sul territorio ha comportato lo sventramento dei partiti politici, nella loro essenza di associazioni che concorrono con metodo democratico – così come indicato dalla Costituzione – a determinare la politica nazionale. Come può un toscano candidato al Senato della Repubblica rappresentare le istanze della provincia di Catania, nella cui circoscrizione è eletto? E come può una siciliana candidata alla Camera dei Deputati rappresentare le istanze della provincia di Belluno, nelle cui liste risulta prima candidata?

Questa logica ha comportato una deresponsabilizzazione degli eletti verso la base e una inevitabile concentrazione ad ingraziarsi il segretario di partito, vero dominus del futuro politico dei nominati/eletti.

 

Il ritorno ad una politica condivisa e partecipata passa inevitabilmente dal rapporto tra elettore ed eletto. Solo ripristinando questa connessione si potrà ristrutturare il senso dei partiti, valorizzando il loro peso tanto a livello locale, quanto su scala nazionale.

L’esigenza di partiti, la cui classe dirigente discuta al proprio interno riportando i bisogni dei cittadini al cospetto delle più alte istituzioni, per poi trovare una sintesi dei valori e dei diritti in gioco risulta oggi – più che auspicabile – necessaria ed improrogabile.

 

Con questo, non solo si darebbe concreta realizzazione ai dettami costituzionali, ma si invertirebbe la pericolosa tendenza all’astensione degli elettori, facendo loro sentire vicina una politica sul territorio, che oggi appare sequestrata dalle segreterie romane.

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